Il datore di lavoro risponde in generale della mancata osservanza delle norme a tutela dell’integrità fisica dei prestatori di lavoro in quanto titolare di una posizione di garanzia ex art. 2087 c.c.: lo stesso pertanto è tenuto all’adozione delle misure di volta in volta ritenute più idonee a prevenire malattie e infortuni sul lavoro.
Ciò riveste ancora maggiore importanza nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria, se si considera che l’art. 42 del Decreto c.d. Cura Italia (Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020) ha classificato il contagio da Coronavirus di un lavoratore verificatosi nell’occasione come infortunio sul lavoro: pertanto anche l’infezione da coronavirus deve essere fatta rientrare nell’alveo delle malattie infettive e parassitarie e, come tale, è senza dubbio meritevole di copertura Inail per gli assicurati che la contraggono “in occasione di lavoro”.
In questo ambito, gli obblighi del datore si specificano allora nel dovere di adottare adeguati modelli di tutela dei lavoratori e di attuazione di misure idonee alla prevenzione del contagio. Ad indicare nel dettaglio quali siano le misure per il contrasto al contagio da coronavirus è intervenuto, da ultimo, l’articolo 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020, che impone a tutte le imprese che non hanno sospeso la propria attività di osservare il “protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro” (Protocollo pdf) sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali ed aggiornato lo scorso 24 aprile 2020”.
Tale documento impone, in primo luogo, in capo al datore di lavoro un obbligo di informazione, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, circa le disposizioni delle Autorità e l’obbligo della rilevazione della temperatura. Oltre a ciò deve prevedere una seria di misure relative alla protezione individuale, alla igiene e sanificazione dei luoghi di lavoro (mettendo anche a disposizione degli erogatori di disinfettante) nonché alla gestione di eventuali persone sintomatiche e sulla sorveglianza sanitaria.
La semplice mancata osservanza di una delle norme sopra citate sarebbe già in astratto sufficiente a determinare in capo al datore di lavoro una responsabilità penale nel caso di un dipendente che affermi di aver contratto la malattia (anche rimanendo asintomatico) sul luogo di lavoro.
Il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche, infatti, è punibile ai sensi dell’art. 40 c 2 cp. Trattasi di reato omissivo improprio. Nello specifico, il datore di lavoro risponde del reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p. (salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, procedibile a querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.).
Salvo il caso dei lavoratori che operano in ambienti ad alto rischio di contagio, in cui vige la presunzione semplice, per tutti gli altri lavoratori, la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che la malattia sia stata contratta durante l’attività lavorativa stabilendo l’onere della prova a carico dell’assicurato.
L’assicurazione Inail ha effetto anche per i casi di infortunio in itinere in cui rientrano gli incidenti da circolazione stradale, a prescindere dal mezzo utilizzato per raggiungere il posto di lavoro, ed i contagi avvenuti durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, in base alla valutazione medico-legale. Considerando, inoltre, che il periodo di tempo che intercorre tra il contagio ed il manifestarsi dei sintomi può arrivare fino a 14 giorni, risulta estremamente difficile sostenere per il lavoratore che il luogo del contagio possa essere individuato con certezza all’interno della sede di lavoro. A causa della virulenza della malattia, infatti, sarebbe difficile escludere altre possibili cause di contagio quali la vicinanza ad altre persone positive nei luoghi di aggregazione necessaria come supermercati o mezzi pubblici o altrimenti il contatto con familiari conviventi contagiati.
Una volta poi che fosse accertato il nesso causale tra contagio e ambiente di lavoro, la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio presupporrebbe il verificarsi di un secondo collegamento causale consistente nella relazione tra l’infezione, siccome contratta in ambito lavorativo, e la violazione da parte del datore di lavoro medesimo delle norme poste a tutela dell’igiene e sicurezza sul lavoro. In altre parole, occorre verificare se il predetto evento sia la conseguenza di una carente o omissiva gestione della disciplina antinfortunistica da parte del datore di lavoro e solo in tale ultima ipotesi l’evento – infortunio darebbe luogo:
- ad una responsabilità restitutoria nei confronti dell’INAIL che promuovesse azione di rivalsa verso il datore di lavoro,
- ad una ulteriore responsabilità risarcitoria del datore stesso verso l’infortunato, per danno civilistico differenziale,
- ed infine ad un possibile illecito penale a carico del datore di lavoro (per i reati di lesioni personali colpose ai sensi dell’art. 590 c.p., oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. se il contagio abbia determinato il decesso)
Al datore di lavoro potrebbe però essere sufficiente dimostrare di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge per escludere in capo a sé ogni responsabilità o, per contro, sostenere che nei giorni prossimi all’ipotizzato contagio, il dipendente non abbia sempre e con rigore osservato le precauzioni imposte quali l’uso della mascherina o dei guanti.
Per tutelarsi è quindi assolutamente consigliabile attenersi scrupolosamente alle disposizioni del protocollo, mantenendo anche delle prove dell’assoluto rigore ed applicazione dello stesso.
Ciò anche perché la responsabilità di tipo penale che cade in capo all’amministratore della società non è tutelabile con delle polizze, ma sarà difendibile solo con la prova di aver posto in essere tutte le misure previste.
Dal punto di vista patrimoniale si potrebbe sottoscrivere apposita polizza assicurativa contro l’emergenza Covid-19. Ne sono state poste in commercio diverse, ovviamente, in base alle differenti esigenze ed ai diversi gradi di rischio.
Prima di far ciò, però, bisogna verificare l’esistenza e la portata di eventuali polizze assicurative aziendali già presenti (RCT- responsabilità verso terzi e RCO- responsabilità verso operai): laddove, infatti, le stesse non prevedano tra le esclusioni il rischio epidemia/pandemia, potranno già essere operative e tutelanti.